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«Come immaginare il futuro dell’Europa dopo un’invasione dell’Ucraina che l’ha costretta a interrogarsi ancora sulla propria ragion d’essere e sul proprio ruolo? E quale può essere l’impegno della cultura in questo scenario?».
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Come immaginare il futuro dell’Europa nel vivo delle tensioni che la attraversano e dopo un’invasione dell’Ucraina che l’ha costretta a interrogarsi ancora sulla propria ragion d’essere e sul proprio ruolo? E quale può essere l’impegno della cultura in questo scenario? È necessario interrogarsi a fondo sulle incrinature e sulle tensioni che avevano preso corpo già prima del 1989 e poi all’indomani di esso, nella difficile transizione dei paesi ex comunisti e nell’emergere – non solo in essi – di nazionalismi illiberali e antieuropei. Nazionalismi che portano la loro sfida su ogni terreno, con un massiccio e deformato «uso politico» della storia che inizia fin dai banchi di scuola. Talora un uso della storia come arma da guerra, come era stato nella ex Jugoslavia e come è nella Russia di Putin: strumento, qui, per legittimare politiche imperiali aggressive e costruito da tempo nella sostanziale disattenzione dell’Occidente. Casi estremi, ma analoga disattenzione ha riguardato le «politiche della storia» perseguite dai governi sovranisti in Ungheria, in Polonia e altrove attaccando duramente chi vi si oppone. Per altri versi sembra pesare ancora «l’ombra del Muro», nel permanere di «memorie incompatibili» (o comunque di aree di reciproca estraneità e insensibilità: si pensi ai differenti modi di guardare alla Shoah e al Gulag). Se si esplorano le narrazioni pubbliche che segnano i differenti paesi è forte l’impressione che le dissonanze siano cresciute talora più delle sintonie, e che sia urgente invertire la tendenza. Che anche da questo dipenda il futuro dell’Europa. Questo piccolo libro vuole essere un sommesso grido di allarme e il richiamo a un impegno talora disertato.