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Due epoche ben distinte hanno attraversato l'interpretazione storico-critica di Rembrandt.
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Alla prima, che aveva costruito il mito di un Rembrandt genio isolato, solitario, incompreso dai contemporanei e che tuttavia, con i suoi dipinti avrebbe rivoluzionato l'arte contemporanea, si andò sostituendo con il tempo la visione degli esperti, che riattribuirono molti dei capolavori che si credevano eseguiti da Rembrandt: quei quadri, alcuni dei quali tra i più famosi, non sarebbero stati che il frutto del lavoro di allievi. Si distinse allora la pittura di Rembrandt e quella della sua scuola, l'opera unica del Maestro e la moltiplicazione, ad opera del suo atelier, di opere eseguite alla maniera di Rembrandt. Il libro di Svetlana Alpers consente di ricostruire la situazione paradossale di un artista che affermò il carattere unico e singolare della propria arte grazie alla riproduzione, per mano altrui, dei propri temi e del proprio stile. Tutto ha luogo nell'atelier di Rembrandt, mondo in cui regna sovrano l'artista, piegando i desideri dei clienti alla propria volontà di creare valori artistici per lui irrinunciabili. Rembrandt rifiuta di adeguarsi ai gusti e ai canoni rappresentativi dei mecenati. La sua opera pittorica costituisce l'affermazione originale dell'autonomia dell'artista, della sua libertà che fonda e nutre la produzione per il mercato, dato che proprio lo scambio o la vendita al pubblico stabiliscono ormai il valore di un'opera.