Il mondo sta cambiando e gli esseri umani paiono essere diventati, a vari livelli, maggiormente consapevoli della necessità di adottare stili di vita più sostenibili.
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La data di riferimento ufficiale che dà avvio a questo processo di riflessione viene fatta coincidere con il 1987, quando la presidente della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo Brundtland presenta il rapporto Our Common Future, da cui si evince come i modelli di produzione e di consumo di pochi Paesi ricchi finiscano con il depauperare gran parte delle risorse della Terra. Il cambiamento climatico è stato forse il fattore che maggiormente ha evidenziato la necessità di un ripensamento del nostro rapporto con l’ambiente. Tuttavia non si tratta soltanto di questo: ormai la stessa integrità della biosfera ha superato i limiti considerati sicuri per l’umanità, motivo per cui si sono susseguiti tutta una serie di incontri internazionali volti a fare il punto della situazione per cercare di trovare un accordo comune a garanzia di uno sviluppo sostenibile per il presente e per le future generazioni. Pensiamo ad esempio al summit delle Nazioni Unite svoltosi a Rio de Janeiro nel 1992, a quello tenutosi in Sudafrica nel 2002 e all’Agenda 2030 sottoscritta nel 2015 a New York dai 193 Paesi dell’ONU. Un programma, quest’ultimo, da realizzare entro il 2030, che punterebbe a garantire – attraverso 17 macro-obiettivi – il benessere a tutti gli esseri umani, uno sviluppo economico sostenibile e la tutela dell’ambiente: una vera e propria sfida che – se vinta – dovrebbe porre fine alla povertà e alle ineguaglianze, oltre che affrontare i cambiamenti climatici e costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani. Nonostante ciò, come ben spiega Sandro Privitera, l’overshoot day, ovvero il giorno che segna l’esaurimento delle risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare in un anno, arriva sempre prima.